Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

martedì 19 ottobre 2021

Cadin degli Elmi

 "Domenica andiamo a fare il Cadin degli Elmi, vieni via?"

Ricordo benissimo la voce di Mariano che riecheggiava nella stanza. Non sapevo ancora molto di montagna, mi affidavo alle scelte dei grandi, di chi aveva deciso di portarmi appresso per istruirmi in quella passione che mi stava attanagliando in maniera sempre più forte. 

"Eh! Magari. questa domenica dovrò passarla sui libri, lunedì ho una verifica" 

C'erano ben poche cose che mi distoglievano dalla montagna: una di queste era il professor Bertolini, insegnante di Scienza delle Costruzioni. Da una parte affascinante oratore che riusciva a rendere affascinante il calcolo di travi e pilastri, dall'altro freddo e spietato nei compiti ed ancor di più nelle interrogazioni alla lavagna, che, nel caso di compiti insufficienti, erano ineluttabili. Fu così che, per evitare una lenta agonia davanti ad una parete nera, rinunciai ad una cima in quella zona mitica che erano, al tempo, le Dolomiti d'Oltre Piave. 

Vent'otto anni dopo, superata la verifica ed evitata l'interrogazione alla lavagna, è venuto il momento di salire Il Cadin degli Elmi. Tempi lunghi? Forse si, ma nel mentre si sono realizzati molti  sogni e progetti, e come disse al tempo il buon Gianluigi "prime si studie, dopo si va ator".






L'aria di Pian Fontana è frizzantina nel primo mattino, e mentre il Vecchio Nile strizza gli occhi per curiosare, seminascosto tra le crode che lo circondano, prendiamo la direzione della Val de Santa Maria. Lasciata la pista forestale per il sentiero che si inoltra nel bosco,  saliamo lungo la forra, accompagnati dal canto del ruscello.

Con Nadia ho barattato una salita più lunga con una sveglia più consona alla mia vena eterea di pigrizia, per cui lasciamo forestieri ai nostri occhi i sentieri che dal rifugio Padova salgono a Forcella Spe. Ci inoltriamo lungo il fondo della valle, fino ad attraversare il rio che lo percorre e a risalire un costone boscoso che porta ancora le ferite di Vaia. Gli schianti sono molti, ma qualche mano è passata armata di buona volontà a liberare il passo. Saliamo nel fresco sottobosco, e dopo un breve traverso, rientriamo nella valle. Il sentiero perde quota con dolcezza, e quando ricomincia a salire, incorniciata tra i rami, ci appare, lontana e solitaria, la forcella.



Ci viene naturale un desolato incrocio di sguardi: "fin là ci vanno ancora un paio d'ore". Sembra quasi impossibile, sembra già di toccarla. Continuiamo lungo il sentiero, attraversando un paio di volte il greto, ora su ghiaie dure, ora su un morbido tappeto di foglie all'ombra delle chiome, ora su un esile via tormentata dall'abbraccio dei mughi. Si rincorrono i passi, come le nuvole che ci proteggono dal sole d'agosto, mentre la sella sabbiosa ci attende. Ormai è questione di poco, a giudicare dall'aria fredda che scende verso la Cimoliana. L'ignoto e pacifico versante cadorino si apre ai nostri piedi. Il vento freddo ci invita a continuare verso il bivacco Gervasutti, lungo un sentiero che rimane protetto. Lasciamo le ghiaie dure dell'alta Valle de Santa Maria per scendere nel catino che cinge di verde il rosso bivacco.



Rimandiamo la visita a dopo lo cima, e seguiamo la traccia che dal catino sale ai ghiaioni che portano alla forcella di Santa Maria. La via è intuibile, e qualche stanco ometto accompagna lo sguardo ed il passo. Giunti in forcella indossiamo il caschetto ed iniziamo a salire lungo il primo canale. La roccia e discreta, anche se è presente del detrito, e con tratti di arrampicata facile e divertente, e mai esposta, arriviamo alla grande terrazza erbosa mediana, risalendola fino alla basse delle rocce sommitali. Ancora qualche passaggio non difficile e raggiungiamo la cima del Cadin degli Elmi, con la sua doppia croce di vetta.









Un turbinio di nuvole tutt'intorno gioca a nasconderci alla vista le cime vicine, ma la giornata è lunga e non abbiamo fretta. Forse indispettito dalla nostra pazienza, di tanto in tanto ci concede qualche scampolo di croda, senza mai svelare il tutto.

Con attenzione torniamo sui nostri passi ed in breve siamo nuovamente in forcella, ed ancor più velocemente scendiamo le ghiaie fini che ci riportano al Gervasutti. Firmato il libro e fatto merenda ci prepariamo al ritorno ma...

Ma il sentiero Marini? Dal libro pare che un escursionista tedesco sia giunto qui dal Pordenone, ma non riporta impressioni. Ci guardiamo negli occhi, guardiamo in lontananza il sentiero che continua verso il Pordenone. Ci riguardiamo negli occhi... E andiamo a vedere questo sentiero Marini. Gia nel 2012 scrivevo di una selvaggia accozzaglia di ghiaie sospese, ora chissà.



Girato l'angolo ci troviamo di fronte cima Talagona, ai piedi delle cui balze il sentiero corre tranquillo, ma prima.. Vado avanti a  vedere. L'ambiente è quello che mi piace, aleatorio, solidità sospesa sul nulla. Avanzo ancora dopo qualche tratto esposto, fino ad arrivare ad un pulpito di terra e ghiaia, dura e slavata dalle piogge che non offre presa. Sento la voce di Nadia che mi chiama. A malincuore, con l'acquolina in bocca, devo riconoscere che il passaggio non è sicuro e torno indietro. L'avventura oggi finisce qui.


Risaliamo verso Forcella Spe: la lunga strada del ritorno si presenta ai nostri occhi. Caliamo lungo le ghiaie che ci accompagnano verso il fondovalle, laggiù, nascosto ai nostri occhi Pian Fontana.

giovedì 5 agosto 2021

Col Nudo

La lunga dorsale che dal Col Nudo scende a Piancavallo è rimasta per anni una terra inesplorata, sconosciuta. Ne vedevo le cime dalla Val del Piave o salendo la Valcellina, ma tranne che per qualche cima minore e discosta, o per qualche fondovalle remoto in cui addentrarsi alla ricerca di ghiacci invernali, non mi ero mai avventurato lungo quelle creste che fin dalla gioventù sognavo di percorrere.

Come per tutte le cose, il momento giusto arriva, per cui propongo a Nadia di andare a vedere le pareti del Teverone che precipitano nell'alta Val Chialedina, lungo la ferrata Costacurta, terre inesplorate anche per lei, per cui si decide, finalmente di andare. Nonostante qualche lieve perplessità appena abbozzata, l'ultimo fine settimana di luglio saliamo nel cuore dell'Alpago.

Le prime luci del mattino sono lattiginose, le brume salgono dai boschi di fondovalle e si arroccano sulle cime, cingendole di grigio, come il silenzio che mi sento addosso mentre ci prepariamo. Lo sguardo sale in alto, verso le cime che sono desideroso di conoscere, ma che si nascondono alla vista. 





Lasciata l'auto nei pressi di casera Stabali ci inoltriamo lungo il sentiero che risale il Venal di Montanes. Lasciata alle nostre spalle la casera Scalet Bassa proseguiamo lungo il sentiero che inizia a farsi ripido, ed entriamo nel cuore del bosco. L'aria umida e calda si stringe alla pelle per trasformarsi in gocce di sudore che bagnano i nostri corpi. Lo sguardo scruta tra le chiome, cercando le cime, ma si perde nella nebbia. Una lieve amarezza si insinua tra i passi, mentre salgo. Arrivati nella piana di Casera Scalet alta il panorama non cambia, anche se gualche pennellata di azzurro si intravede sotto la patina grigia che tutto ricopre. Seguiamo il sentiero che, passando sotto le pareti di Cima Valar sale alla Forcella Bassa dietro il Teverone. Il largo vallone che sale si perde, indefinito, tra le fosche cortine che calano. Siamo in mezzo al nulla, e sconsolato, chiedo a Nadia se vuole proseguire o tornare sui nostri passi. Carta alla mano, studiamo la situazione. La tristezza di una giornata che sembra buttata alle ortiche si fa strada dentro di me: siamo lontani da piani B o C. Alla fine, mentre le quinte grigie verso la forcella sembrano darci speranza, decidiamo di proseguire. Spunta il sole, sopra un ribollire di vapori che salgono dalle  profondità della Chialedina.






Giunti in Forcella un carosello di nuvole e luce ci accoglie, per un lungo attimo sembrerebbe che il nostro progetto possa realizzarsi, ma come un mare tempestoso, le nebbie risalgono, spumeggianti, verso la parete, sommergendola nuovamente.

Puntiamo a nord, dove il Col Nudo si staglia contro un cielo azzurro. Seguiamo il consiglio, mentre, dietro di noi, il Teverone scompare nuovamente, inghiottito dal torbido, come una nave che fa naufragio. Percorriamo tra fioriture che cambiano ad ogni svolta, il Troi de la Cavala, che passando a est della Pala di Castello ci porta ai piedi del Col Nudo, al passo di Valbona.















Mentre le nuvole continuano le loro danze senza fine, ci prendiamo il tempo di riposare e di godere del panorama, per quanto concesso. Dal passo il sentiero sale tra verdi e rocce, alla Cima Lastei e poi, lungo una breve cresta friabile, alla cupola detritica del Col Nudo. Saliamo lungo i pendii sommitali, mentre il cielo cala nuovamente, grigio e rorido, ad avvolgere la cima. 










Sebbene raggiunta la cima , questa zona rimane ancora inesplorata agli occhi. I panorami restano sconosciuti, celati dietro quinte grigie e dispettose. Torno indietro, verso Cima Lastei, dove Nadia, mi aspetta. Non si vede nulla, il grigio della pietra che i passi calpestano si confonde con le nuvole. Non so dove sono, non riconosco i passi compiuti poc'anzi, se non fosse per qualche bollo rosso sbiadito. Raggiungo Nadia e, come uno sberleffo, la cima del Col Nudo si apre il tempo di un sospiro, grigio tumulo di pietre sullo sfondo di un paesaggio che resta da indovinare.



Torniamo sul nostro cammino, verso passo Valbona, e iniziamo la lunga discesa verso il Venal di Montanes, aggirando il solitario Col di Piero, e raggiungendo i pascoli abbandonati di casera Scalet Alta, dove chiudiamo il nostro anello, prima di scendere, nel bosco ripido, al parcheggio.