Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

lunedì 27 aprile 2009

Chi ben comincia...

Val Resia, ci torno sempre volentieri.
Sarà perchè c'è sempre qualche angolino nuovo da scoprire, per i bei scorci sui monti che la circondano o perchè passando da li non manchiamo di passare a salutare il simpaticissimo Don Gianni.
Questa volta è in occasione dell'apertura della stagione Cai della nostra sezione: dopo la semplice sgambatina sul "famoso" Ta Lipa Pot pranzeremo tutti assieme presso il locale A.N.A. di Stolvizza.
E così domenica mattina ci mettiamo in auto, diretti a Gemona per incontrare gli amici di SuiMonti che, assieme anche a Giovanni, Elena e Ondina, faranno parte dei "nostri" in questa giornata.
Siamo leggermente in ritardo sulla tabella di marcia e l'Alpinauta pazzo si destreggia tra le contee friulane tra deviazioni e ammonimenti vari di paesani quasi spazzati via dall'irruenza della sua Marea!!!
Giungiamo trafelati in una freddina Gemona e dopo gli abbracci e i baci di rito l'Alpinauta riparte a tutto gas verso la tranquilla Resia.
Arriviamo in una Stolvizza che brulica di soci e non, tutti in fase di preparazione per la partenza: sabato scorso gli iscritti erano una ventina, mentre ora siamo quasi un centinaio!!!Una signora con bambina ci guarda affascinata dal suo terrazzo mentre il capogita, fischietto in bocca, cerca di raggruppare la mandria e segnalare la partenza!
Giuro che qui mi vergogno un po'!!! Pure il fischietto!!!
La comitiva inizia a muoversi e, con la scusa di aspettare gli amici, mi piazzo alla fine del gruppo!
Finalmente arrivano e ,passando sotto un bel cartello in legno su cui è inciso "Ta Lipa Pot", imbocchiamo il sentiero che in leggera discesa ci porta sul greto del torrente e al cospetto della cascata del Potok. Accanto ad essa, un pinnacolo di sabbia si erge diritto a farle concorrenza in fascino.
Proseguiamo attraversando il torrente e risaliamo il sentiero dal lato opposto, passando tra bellissime fioriture di Genziane di Clusius e Primule odorose.
Poi la mulattiera si addentra in un bel boschetto e con dolcissimo percorso arriviamo in una verde radura e alle Case Ostje.
Ricompattato il gruppo, ci addentriamo ancora tra gli alberi e poco dopo attraversiamo un ponticello in legno in posizione davvero bucolica.
Ancora un tratto nel bosco e un'altra verde radura e arriviamo ad una ripida discesa gradinata e attrezzata con cavetto corrimano che ci porta di nuovo a livello della strada per Stolvizza.
All'inizio pensavo di fare il giro corto, quello da 5km, ma visto il tranquillo tenore del sentiero, opto per quello lungo da 10km.
Salutato il figliolo che assieme a Leonardo,Enrica e altri faranno ritorno alla "base", proseguiamo assieme al resto del gruppo e, percorsa per alcuni metri la strada asfaltata, attraversiamo con una passerella il torrente Resia e costeggiandolo ci godiamo le belle visuali sulla dorsale Sart-Canin.
La mulattiera continua addentrandosi tra arbusti e boschetti, risbucando alla fine di nuovo sul torrente Resia che raggiungiamo scendendo un altro tratto attrezzato con passamano.
Attraversate le sue trasparenti acque su di un bel ponte in legno, costeggiamo il greto per un po' fino alla rampa finale che, di nuovo all'interno di un boschetto, con ripida salita, ci porta ad un crocifisso e ad una bella radura dove si coltiva il famoso aglio di Stolvizza.
Da qui al punto di partenza dove, alla ricerca di un passaggio in auto per arrivare al salone dell'A.N.A., m'imbatto in una strombazzante Golf: ne scende il barbuto e simpatico Don Gianni a cui scrocco il passaggio!
Arriviamo giusti giusti per gustarci il pranzo che l'Alpinauta e gli altri cuochi ci hanno preparato: antipasto di salumi vari, risotto con salsiccia e "sclupit", bistecchine e hamburger con patate "in tecje" e torte varie portate da noi donzelle.
Che dire?
Con le pancette piene, in compagnia di tanti cari amici, con il sole che oggi a dispetto delle previsioni non ci ha tradito, possiamo dire che è proprio stata una bella giornata!
E chi ben comincia....

lunedì 20 aprile 2009

Grave, Carso, Collio: storie di guerre, cibo e vino

Sabato sera, dopo aver buttato un occhiata malinconica al meteo, arriva la domanda:
"Amôr ce fasino domàn?"
"Ievin tôr vot e vjodin il timp"
Le lancette delle ore e dei minuti si rincorrono nel lieto regno di Morfeo finchè...
"Amôr i voi a vjodi dal timp!"
"Come esie?"
"Mmmh... veladin... un pôc bluette viers i Musi...?"
Come dire "Perchè non ti alzi e vai a vedere tu invece di chiedere, che poi non ti va mai bene niente?"
Mi vesto ed esco in giardino, volgendo lo sguardo a nord "Bluette?? Scûr!!!"
Mentre il latte si scalda inizio a pensare al da farsi. Una domenica chiusi in casa no di sicuro. Visto
che tra un pò sarò assorbito dai corsi volevo dedicare queste domeniche all'AlpinGirl: ieri si era pensato ad un giretto sopra Claut, ma visto il tempo meglio qualcos'altro. Giretto sulla spiaggia? Lignano? Grado? Pesce? Malvasia?
Mentre facciamo colazione mi torna in mente l'ambiente di una marcialonga di un paio di anni fa a Selz, vicino Redipuglia. La vastità del carso isontino, le "farcadicce" che appassionano Nadia, il terrano che non dispiace a me.
Arriviamo velocemente a Ronchi dei Legionari e prendiamo la strada che sale vero l'altopiano e lo attraversa in direzione di Doberdò. Lasciamo l'auto nei pressi di una strada sbarrata e ci inoltriamo lungo una pista con segnavia Cai. Ci addentriamo un questo ambiente piatto, dove il senso del verticale è assente: rovi, sterpaglie, sommaco e pietre. Pietre che si confondono il cemento delle trincee.
Ferite nel terreno a ricordo degli anni orribili di inizio novecento, in cui la terra rossa del Carso si mescolava al sangue di fratelli caduti vestendo diverse divise. Tempi lontani, e dopo quasi un secolo ci si ritrova a percorrere per svago queste lande, con la curiosità di cercare di capire come vivevano quegli uomini in trincea, tra fame e pidocchi a due passi dal mare.
Riprendiamo la macchina e ci fermiamo poco oltre in prossimità della Dolina dei Bersaglieri. Sotto dispettose goccioline di pioggia percorriamo i camminamenti scavati nelle roccia dell'altopiano e arriviamo nell'oasi di pace della dolina. Novanta e più anni fa questa dolina rappresentava un sicuro riparo dal nemico, fuori dalla portata dei mannlicher, oggi ancora trasmette un senso di pace e tranquillità, resta un reticolato a ricordare, oggi come ieri, che oltre il bordo della dolina, c'era un'altra vita e forse la morte.
Di nuovo in auto, sotto un cielo che non sa cosa fare, continuiamo verso Doberdò e continuiamo la nostra escursione a tappe: ora viene la volta della Cima! Percorrendo un lungo trinceramento in cemento, attraversiamo il pianoro in direzione dei 117 metri del Monte Sei Busi.Qui le linee italiane e austriache sono a pochi metri l'una dall'altra: finite le pallottole si potevano usare le pietre per darsi battaglia. O forse si poteva uscire per fare quattro chiacchiere e far vedere le foto di chi aspettava a casa. Chissa! Mi piace pensare che sia successo. Magari si incontrava il fattore che lavorara il campo vicino al proprio.
La pioggia cade sottile mentre arriviamo verso Doberdò e continuiamo il nostro peregrinare verso Gorizia e il Collio. Dopo esserci fermati a pranzo nei pressi di Capriva (polentina con gorgonzola e noci, tagliata di angus, erbette di prato al aglio e olio... e un buon merlot!!) proseguiamo il nostro andare per le stradine del Collio, tra vigneti e colline, fermandoci a cogliere qualche scatto sotto il cielo uggioso di questa domenica.

E comunque se n'è uscito pure un passaggio di boulder!

giovedì 9 aprile 2009

Ricordi: Maggio 1976


Avevo 5 anni, ero in camera seduta a letto e mia sorella Paola, tre anni più di me, si stava coricando nel letto accanto al mio.
Non ricordo il rumore, ma solo la vista del lampadario che dondolava vistosamente e mia sorella che, dopo aver sussurrato "il teremot!", si precipitava fuori dalla stanza e fuori di casa! Intraprendente la piccola!
E io?
Spaventata da qualcosa che non conoscevo ma che aveva messo in fuga mia sorella, scoppiavo a piangere mentre mio padre entrava correndo verso di me, mi afferrava e nella fretta di uscire, mi urtava la spalla contro lo stipite della porta.

I ricordi sono poi frammentari: la tenda costruita in giardino, lontano dalla casa, fatta di due pali di legno piantati nel terreno che ne sorreggevano un terzo, e sopra un largo telone di nilon trasparente trattenuto da mattoni. Dentro i materassi e la nonna che dormiva con noi. E la fasciatura al braccio, di cui andavo molto orgogliosa!

Ricordi di bambina, ma che ritornano alla mente ogni volta che da qualche parte d'Italia risbuca l'Orcolat, come lo chiamano qua in Friuli.

Ricordi che riaffiorano nella mente di mia sorella, che uscendo vide il nostro cancello "ondeggiare" o in quella della signora per cui lavoro, che in quegli attimi si stava facendo il bagno nella vasca di casa al quinto piano a Udine! Mai più una vasca da bagno in casa sua dopo quella volta!

Ricordi, riportati alla mente quel giorno di Pasqua di pochi anni fa, quando l'Orcolat si fece sentire bene dalla vicina Slovenia.
Molte volte mi ero chiesta come avrei reagito ad un terremoto dopo quello del '76: seduta nel soggiorno di mia cognata al secondo piano, quando realizzai cosa stesse facendo vibrare i vetri e ondeggiare la mia sedia, a parte lo stupore iniziale, misto quasi a un morboso fascino nei confronti di Madre Natura, rimasi fredda e distaccata, uscii di corsa da casa e mi fermai assieme a tutti gli altri nel posto peggiore dove sostare in caso di terremoto... sul pianerottolo delle scale!!!

Ricordi, riportati alla mente dal terremoto in Abruzzo di questi giorni.
Di quello che colpì il Friuli rimangono le immagini dentro una videocassetta dedicata al ventesimo anniversario dal terremoto e alla ricostruzione. Immagini che riprendono lo sgomento delle popolazioni friulane in quei giorni, ma anche la loro volontà di ricominciare e ricostruire.
Il Friuli ce l'ha fatta e con questa speranza mi auguro che anche le regioni colpite in questi giorni, pur non dimenticando, possano presto dire le stessa cosa.

martedì 7 aprile 2009

Scampoli d'inverno in Grigna

Poco dopo mezzanotte, appena rientrati nel B&B che ci ospita, squilla il cellulare, è il Cortinovis : " mmh, Luca.. ho visto il bollettino valanghe, dan quattro sotto i duemila metri".
Ok, intanto andiamo a dormire e poi vedremo al risveglio.
Alle 7,20 suona la sveglia e la Grignetta ci saluta dalla finestra, squilla nuovamente il telefono. E' sempre il Cortinovis "mmmh, sono stato male di stomaco.. facciamo che ci si vede ai Resinelli verso le 8,30".
Ok. Intanto facciamo colazione. Non senza pensare alle parole di Daniele la sera prima, a cena: "questo è il posto migliore per mangiare il pesce a Bergamo".
MMMHHM! Lo terrò presente!!

Dopo aver litigato con TomTom, troviamo la strada giusta per Ballabio, la porta d'ingresso ai Piani Resinelli. Saliamo lungo la strada a tornanti assaporando la primavera del bosco, in contrasto con le cime delle Grigne e del Resegone ancora in veste invernale.
Arriviamo alla strada che sale al rifugio Porta e aspettiamo Daniele e Linda.
Prontamente squilla il telefono "Siamo sui tornanti".
Di li a poco ci raggiungono e decidiamo il da farsi. Visto il bollettino meteo e le cornici che si vedono sulla Segantini optiamo per l'integrale alla Sinigaglia. Proseguiamo in auto verso il Pian dell Grigne e superiamo il divieto posto poco dopo il rifugio Sem. Divieto?? Si, si! Si passa! Passan tutti! Vabbe!
Parcheggiamo proprio dove inizia la cresta e ci prepariamo: ramponi, casco, piccozze finiscono nello zaino.
Un salutino all'Alpingirl, che con Linda farà la traversata bassa verso il rifugio Pialeral, e iniziamo a salire per i primi ripidi verdi.
Saliamo velocemente fino alle prime facili roccette, che seguiamo volentieri pur di evitare di sprofondare nella neve pesante. Arrivati all'altezza del primo dei torrioni Magnaghi la neve inizia ad avere la giusta consistenza per essere divertente e non solamente faticosa.
Mano a mano che si sale la vista si apre: al di là del Resegone si vedono le Orobie orientali, mentre oltre il lago di Como mi pare d'indovinare nella foschia il gruppo del Rosa.
La cresta innevata inizia a farsi interessante: tratti rocciosi, passaggi su pendii irti e crestine di neve sottili si alternano regalandoci divertenti funambolismi.
Arriviamo al Saltino, o Passo del Gatto, e spuntiamo sull'esile filo della Bocchetta dei Venti, alla sommità del Canalone Porta, in vista della cima e dello spaziale Bivacco Ferrario.
Passiamo poco sotto la cresta per evitare le cornici sul lato nord e raggiungiamo una cimetta, poco prima del Canale Federazione, caliamo brevemente a sud per puntare decisi verso la cima.
I piani Resinelli si stendono ai piedi della Grigna silenziosi in questo inizio di primavera. In cima non c'è nessuno, solo un piccolo passero che aspetta qualche generosa briciola di pane e prosciutto.
La vista è splendida sul lago e sul Grignone, carico di neve.
La neve inizia a farsi pesante, in cima ci sono 18 gradi!!

Riponiamo le piccozze e inizia a scendere lungo la Cresta Cermenati, che in breve ci porterà al rifugio. Mentre scendiamo incontriamo altri tre escursionisti che salgono affaticati "Com'è la neve?" "Pesante!!". Scrollando il capo proseguono verso la cima, ormai prossima.
Togliamo i ramponi e scendiamo sciando con gli scarponi lungo il pendio. Ad un certo punto la radiolina si fa sentire e Nadia chiede se siamo noi quei due sulla cresta, al nostro cortese assenso risponde con un galante "E allora muovetevi, che è un pezzo che siamo qui!"
Tagliamo per i prati e per i boschi in direzione del rifugio SEM, dove una birretta è la degna conclusione di questa giornata. Che sian Giulie od Orobie!

Quel ramo del lago di Como...

... che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.