Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

lunedì 26 gennaio 2009

Un salto nel passato di Moggessa

Moggessa. Di quà, di là.
Sentii parlare di questi borghi sperduti più di dieci anni fa, da un conoscente la cui sorella vi aveva ristrutturato una casa e m' invitava un giorno a risalire quello che lui definiva un ripido, impervio e lungo sentiero nel bosco.
Gli anni son passati, le amicizie sono cambiate e io mi sono sempre ripromessa di andarci un giorno. Purtroppo la predilezione per itinerari ben più impegnativi, mi ha fatto rimandare questa gita. Ora, vista la situazione in cui mi trovo, il momento è quello buono. Ed ecco allora che, alla costante ricerca di itinerari non troppo faticosi, aprendo l'ennesima cartina, lo sguardo viene catturato da quei due piccoli borghi dimenticati da tempo.


E così, domenica mattina, partito l'Alpinauta, alle 8.30 vengo prelevata dai puntualissimi Claudio, Enrica e Leonardo e assieme puntiamo alla volta di Gemona, dove ad attenderci ci sono Silvia, Renato, Renzo, Denis, Serena, Alex e Luca.
Caffettino veloce al fungo e via verso Moggio alto.
Trovato l'imbocco del sentiero parcheggiamo nell'ampio spazio che lo precede.


Chiacchierando del più e del meno ci prepariamo e con calma iniziamo la salita assieme ridendo e scherzando. Il sentiero sale accanto al Rio di Palis e, dopo una serie di tornantini, s'inoltra in un boschetto. Saranno proprio le chiacchiere in buona compagnia, ma la salita non mi sembra poi così ripida come mi era stato descritto! Di tutt'altra idea è il povero Leonardo, che, abbandonato dall'amico Nicholas all'ultimo momento visto l'arrivo improvviso del suo papà, soffre, essendo "l'incompreso non amante delle fatiche montane" della giornata. Arrivato al punto più alto della salita, presso una piccola cappelletta dedicata ad un padre ed eretta nel lontano 1790...se non ricordo male, Leonardo si riposa e ristora al suo interno.

Il gruppo, ora sparpagliato, si ricompatta e assieme iniziamo a scendere lungo un tratto di sentiero che ora si fa roccioso e alto sulla sottostante vallata dove scorre il Rio Moggessa. Da qui possiamo vedere le lontane case di Moggessa di là e i monti innevati che ci circondano, Amariana in primo piano.




Un tratto franato richiede per un attimo la nostra attenzione, ma dopo ritorna ad essere tranquillo e panoramico e, attraverso un tratto scavato nella roccia e un nuovo tratto nel bosco eccoci giungere finalmente alle prime case diroccate di Moggessa di qua.

Alcune case sono state ristrutturate ma molte giacciono in completo abbandono e rovina. Ci aggiriamo furtivi e silenziosi, quasi a non voler disturbare i blocchi di pietra in bilico sui muri diroccati. Presso una piccola fontana in pietra, l'indicazione per Moggessa di là c'introduce alla parte alta del piccolo borgo e alla squillante voce di Leonardo che, senza remore, richiama la nostra attenzione su un bel pezzo di lardo appeso all'uscio di una porta. Il proprietario ha sicuramente fatto la festa ad uno dei tanti cinghiali che hanno "arato" il prato all'ingresso del piccolo borgo!

Lasciamo Moggessa di quà e iniziamo a scendere attraverso un bosco veramente ben tenuto. Sotto di noi, profondissima scorre la forra del Riu del Mulin e di fronte a noi, sul versante opposto, il sentiero che porta a Moggessa di là. Un vecchio e diroccato mulino, funzionante fino al 1962, attira l'attenzione di Denis e Renato, ma per me il sentiero per raggiungerlo è troppo ripido e ci rinuncio, preferendo continuare la dolce discesa verso il ponte che attraversa in basso il rio. Passiamo così le sue azzurre acque e inizimo la dolce risalita per Moggessa di là.


Raggiungiamo la chiesa che rappresenta il primo edificio del borgo e ci fermiamo a pranzare sotto i caldi raggi del sole. Divoriamo i nostri panini e Denis tira fuori dallo zaino l'ennesimo vasetto ripieno di Nutella: la scorta di 5kg che gli hanno regalato si sta esaurendo finalmente! Renzo invece ci offre una piccola crostata che divide in dieci buonissime minifettine.

Terminato il pranzo, iniziamo le nostre individuali esplorazioni lungo gli stretti viottoli. Nel silenzio rotto solo da qualche gridolino di un lontano Leonardo, mi aggiro solitaria tra le abitazioni e noto come qui ce ne siano molte di più ristrutturate, anche perchè l'accesso a Moggessa di là è agevolato da una stradina che sale da Grauzaria.
Molte le fontane in pietra che decorano le vie e i poggioli in legno che rappresentano l'architettura tipica rurale. Unica cosa che un po' stona, sono alcune parabole satellitari, ma si può capire, qua siamo fuori dal mondo.
I numeri civici sono ancora quelli vecchi e col pensiero faccio un balzo nel passato e immagino la gente che nei freddi inverni si scaldava all'interno di queste case appiccicate l'una all'altra o camminava piegata dal peso del raccolto fino alla propria cantina.
Reincontro Claudio e gli altri che ammirano una bella casa realizzata su due ordini di arcate sovrapposti e decidiamo il da farsi.

Le varie idee di scendere fino al torrente Glagnò o concludere l'itinerario ad anello passando per Stavoli e scendendo a Campiolo, vengono scartate alla sola idea delle lunghe controsalite che ci aspetterebbero per raggiungere le auto.

Si torna dunque per la via di salita, e i numerosi saliscendi cominciano a farsi sentire. Scatto una foto alle prime primule dell'anno che vedo e che timide sbocciano sul bordo del nostro sentiero.

Ripercorrendolo all'inverso faccio più caso alle diverse lapidi che incontriamo sul nostro cammino. L'unica un po' leggibile porta le date 1883-1908, dunque non un anziano morto sul sentiero come avevo immaginato all'andata, ma un ragazzo o una ragazza: chissà cosa sarà successo loro.

L'ultimo tratto per fortuna è tutto in discesa e la vista si apre sopra Moggio.

Il nostro viaggio nei ricordi della nostra terra è giunto alla fine e torniamo ai rumori dei nostri tempi e a tutte le sue agevolazioni, non ultima una bella birretta all'Osteria Sot le Mont.

Immenso bianco

Mentre Nadia e l'allegra combriccola muoveva alla volta di Moggessa, un Cane e otto Orsi si dirigevano sotto un'alba limpida (a dispetto delle previsioni), verso il Canale di San Pietro, decisi a raggiungere gli escursionisti che hanno passato la notte di sabato a Casera Pal Grande di Sopra.
Un eccitatissimo Indy mi accoglie alle sette del mattino tutto saltellante: annusa già l'aria sottile della montagna. Saliamo in macchina e andiamo ad aspettare il resto del gruppo in piazza Giardini, dove troviamo Luca, Renzo e Alessandro pronti a puntare gli sci in direzione del Monte Dimon. Alla spicciolata arrivano Giovanni ed Enrico, Gianni, Fabrizio e Bepi. Roberto? "Sai che ha il fuso sfalsato di cinque minuti.. Chissa ieri sera..." Ma ecco che alle 7.35 arriva puntuale!
Partiamo quindi alla volta dei Laghetti di Timau dove tra stormi di fondisti troviamo l'Uomo delle Dieci con Maria e Max, anche loro diretti alla nostra casera.
Nell'aria gelida del fondovalle, ai piedi della mole innevata della Creta di Collina ci prepariamo con calma."Inauguriamo" il nuovo corso delle gite invernali, indossando l'Arva e mettendo in pratica gli insegnamenti di Gianni di un paio di settimane fa.


Appena messo piede sul sentiero libero Indy dal guinzaglio e subito si da da fare ad esplorare il bosco innevato, partendo a razzo per il pendio, verso i stavoli Roner. La prima rampa del sentiero manda già in ebollizione il radiatore e iniziano a migrare verso lo zaino gli strati più esterni del vestiario.
Il primo tratto di sentiero ha il fondo innevato bello duro e si sale senza fatica, Fabrizio, Bepi e Gianni iniziano ad allungare il passo, mentre il gruppo si sgrana un pò. Indy fa la spola tra tutti, richiamato di tanto in tanto dal fischietto.
Nel mezzo del bosco è caduta qualche slavina, e tra i cumuli di neve l'ambiente non si riconosce più: passati i resti del ponte sul rio Gaier non troviamo il bivio che riporta a Timau, e ci ristroviamo direttamente agli stavoli a mezza costa. Boh! Continuiamo a salire, e dopo qualche sprofondamento di troppo decido di calzare le cjaspe, mentre un affettuoso Indy prende a leccarmi la faccia, " Va vie! Ostie!!". Niente da fare, ci vuole un biscotto per guadagnare un pò di pace!


Ora la salita va decisamente meglio, supero in breve Max, Lucilla e Roberto, mentre Indy parte in bomba alla ricerca di Giovanni. Arrivo al vallone superiore, sotto Pal Grande di Sotto, spettatore di uno scenario magnifico, tutto è di un candore abbacinante.

La traccia prosegue solcando il fondovalle. il giorno prima Enzo e compagnia son saliti in quattro ore! La traccia a tratti è ricoperta da neve ventata e si sprofonda un pò nonostante le cjaspe. Gli alberi portano visibile l'azione del vento: la neve è rimasta solo da un lato, donando una forma aerodinamica ai tronchi. Indy tenta qualche escursione fuori traccia, ma vi rinuncia poichè sprofonda notevolmente nella bianca coltre, e preferisce accodarsi, salvo poi ripartire in quarta quando vede dinanzi a noi Dario e JR che ridiscendono.
Subito dopo incontriamo pure Enzo e Gigi, e poco più in su Mauro e Paolo: la casera è quasi completamente ricoperta di neve e han faticato a scavare un pertugio per entrarvi. Le stalle sono sepolte e non sono riusciti ad accedere alle bombole del gas custoditevi. Niente pastasciutta a mezzogiorno.
Salutati gli amici che rientrano risaliamo sulle nevi compattate di una slavina, passando a fianco della zona da dove si è staccato il lastrone, mentre usciamo dall'ombra della Creta di Timau e usciamo nel tepore del sole, Bepi ci saluta dal tetto della stalla a valle: a parte la casera tutto è sommerso dalla neve!!






Indy passeggia indifferente sui tetti innevati, ma al richiamo delle crocchette accorre veloce. Entriamo in casera, fuori si sta meglio, ma il piacere di mangiare un pò di Montasio (e che altro?) seduti fa sopportare anche qualche grado in meno.

Ad un certo punto sentiamo uno strano rumore sopra le nostre teste: è Fabrizio che cammina sul tetto! Quest'anno è diventata una moda!
Mentre Bepi e Gianni salgono sul Pal Grande, carico di neve, come il vicino Rosskofel, noialtri stiamo a goderci il sole. Per passare il tempo decidiamo di fare un pò di esercizio con arva e sonda: neve c'è ne in abbondanza e seppellire una scatolina non è un gran da fare!



Loris e Maria han deciso di fermarsi alla casera Pal Grande di sotto, e dopo un paio d'ore di sosta lasciamo a malincuore questo bel posto per iniziare la discesa.


La traccia è battuta, ma la tentazione della coltre vergine è forte: in discesa, senza fatica, lasciare il segno del proprio passaggio è fantastico.
Scendiamo velocemente di quota e nel fondo del vallone incontriamo Marilena e Guido che, reduci da un'intensa gnotolade, non rinunciano alla salita fino in casera. Guido guarda curioso Indy e il suo zaino "Marilena i vin di insegna ancje a chei quatri gjàs che i vin a puarta il zaino in montagne!"


Camminiamo leggeri e veloci nel bosco e arrivare all'auto lascia un pò di maliconia: "Già finito?!?"
Visto che la desiderata pastasciutta "alla Pal Grande" non ci è stato possibile degustare andiamo a trovare gli amici dei Laghetti ..."Us vadie ben pastesute al cerf?".
Pononoppo!
Siamo Orsi. Onnivori!!

lunedì 19 gennaio 2009

Il gioco dell'effimero

Effimero.
Che ha breve durata. Fuggevole. Precario.
E per queste sue particolarità che questo gioco ha una fredda bellezza. Un cristallino richiamo che ricorda il canto delle sirene dell'Odissea.
Domenica mattina la sveglia suona presto e il suo suono rimbomba in una cassa vuota, tale è la mia testa. Naso chiuso, leggero cerchio. E il canto delle Sirene della Raccolana.
Stanno là. Appese nel vuoto. Rapiscono lo sguardo di chi percorre la strada nel fondovalle con la loro glaciale bellezza.
Mi alzo dal letto indeciso se tornarci subito o meno. Quasi meccanicamente metto sul fuoco l'acqua per il tè e il latte per la colazione. Mi fa piacere scoprire che in posizione eretta la testa non fa poi così male, anche se il naso è ancora tappato. Ma qualcosa di caldo, un'aspirina e una bella giornata all'aria aperta mi rimetteranno in sesto. Spero. Ma ne sono convinto? Non lo so, intanto continuo i preparativi. Apro con certosina e silenziosa pazienza un paio di aspirine, in modo da non solleticare l'udito dell'Alpingirl e scatenare domande che mi riporterebbero tra le calde braccia di Morfeo. Novello Ulisse legato all'albero maestro con rami di salice.
Alla fine le sirene hanno la meglio, e già ne sento giovamento. Al richiamo, con me, hanno risposto l'eterno Fabrizio, Robertone, e Giovanni, Giulio e Roberto, questi ultimi al primo fine settimana di ghiaccio verticale.
Il tempo non è dei migliori, informata Nadia delle condizioni meteo sulle Prealpi, imbocchiamo la Val Raccolana: la nostra isola del tesoro. Il nostro scrigno di gemme.
Saliamo con moderata velocità, scrutando le pareti alla ricerca delle linee più belle, fin ad arrivare al Fontanon di Goriuda. La nostra meta di oggi.
Visto come il meteo ha deciso di girare rinunciamo a lunghe realizzazioni e formiamo due cordate in maniera da "istruire" i novelli ic-climbers (Fabrizio docet) sulle regole del delicato gioco dell'effimero. Campo di gioco le due facili colate a fianco del Fontanon. Con me e Robertone viene Giovanni. Robertone mi precede lungo il sentiero, e, mentre faccio qualche foto alla colata, giunge alla partenza della salita.
Due scatti e "POFFERBACCO!! HO DIMENTICATO LA SCHEDA DI MEMORIA!!" Con "perdindirindina" e tutte le sue sorelle raggiungo Roberto che con fare soave mi dice "Ti spiace se faccio io da primo?", io penso ancora alle poche foto che potrò fare che annuisco senza capire quello che mi ha detto. E così lo guarderò salire dal basso! Fregato!
Spieghiamo i concetti di base a Giovanni, che di tanto in tanto, annuisce basito alle dissertazioni filosofiche di Robertone, e iniziamo la salita. Il primo tiro è piuttosto facile, ma lo affrontiamo in cordata, approffittando per mettere bene in pratica quanto spiegato poc'anzi al novello ghiacciatore. Dopo le prime facili balze verticali arriviamo al catino superiore, dove si trova la colata principale: sessanta metri di ghiaccio quasi verticale!
Roberto inizia a salire, condendo l'ascesa di spiegazioni, mentre Giovanni lo assicura. Io mi sciolgo dalla corda per gironzolare attorno, cercando qualche bello scatto tra i pochi a disposizione.


Mentre Roberto sale arrivano due ragazzi con accento "foresto" sono di Vittorio Veneto, per la prima volta in Raccolana: "Bellissimo! Non pensavamo di trovare tanto ghiaccio! E soprattutto di non trovare nessuno! O quasi!".


Ecco! Vediamo di fare in modo che resti cosi e che la massa continui ad andare a Sappada o Sottoguda!
Ma come dice Fabrizio, ci vuole qualcosina in più (o in meno, dipende dai punti di vista) per venire qua, in questa valle spoglia e fredda. Selvaggia e repulsiva.


Giovanni parte davanti a me, lasciando i chiodi che recupero mano a mano che salgo, cercando di dargli qualche buon consiglio durante la salita, e cercando di evitare i blocchi di ghiaccio che di tanto in tanto frantuma e che precipitano in basso.


Arriviamo in sosta dove Robertone ci accoglie sornione. Che facciamo? Scendiamo o saliamo a vedere cosa c'è più in su? Che domande!! Avanti!
Nel frattempo arrivano alla base Fabrizio, Giulio e Roberto che ci chiedono se stiamo scendendo: "No! Saliamo ancora un pò!"
Saliamo ancora un breve tiro proteggendo. Poi è la volta di Giovanni, che un pò riluttante, alla fine cede alle nostra insistenze e su un tratto facile và da primo, attrezzando una sosta su ghiaccio dove ci recupera.
Andiamo ancora avanti, spinti dalla voglia di vedere da vicino cosa si intravede dietro i rami spogli degli alberi. Saliamo in conserva, vista la poca difficoltà presente, fino a un piccolo strapiombo di tre metri che Robertone sale in libera, "Tanto non si riesce a chiodare, troppo poco ghiaccio".
Il salto è proprio verticale e divertente.
Ci sleghiamo e, riavvolte le corde, ripartiamo veloci verso le candele sospese che ora vediamo bene sopra di noi. Sento di nuovo le sirene della Raccolana, e le vedo dinanzi a me. Arriva accanto a me Robertone con gli occhi che brillano "Che ora è? A farla ci va via una buona ora".
Sono le tre e nevischia. Sopra di noi il cielo è sempre più grigio e basso.
Iniziamo a scendere lungo il costone roccioso, per sentieri invisibili che forse han visto passare solo camosci, bracconieri e qualche boscaiolo. Scendiamo velocemente, i ramponi mordono sicuri il fondo ghiacciato del sottobosco e in breve siamo sul salto della cascata. Valutiamo se fare una doppia per raggiungere la base, ma poi optiamo per attraversare il canale e scendere attraverso il bosco. Fosche brume scendono dalle cime, regalando alla giornata le tinte fredde delle antiche saghe nordiche.
Arriviamo alle auto e vediamo che i notri compagni son già scesi e ci attendono, in compagnia di Giampaolo, di ritorno da Sella Prevala, all'interno dell'agriturismo. "Siete arrivati fino in Resia? Non vi vedevamo più venir giù!"
Presi dalle Sirene abbiamo ceduto allo spirito esplorativo che c'è alla base dell'alpinismo e abbiamo vagato per le rocce e i ghiacci della Raccolana, anche perchè, come dice Robertone "Bisogna far fame, non si pùo mangiare solo per gola".
E così, mentre la ragazzina porta una bottiglia di nero, finiamo la giornata scherzando e pensando al prossimo fine settimana.
Le Sirene stanno ancora cantando.

domenica 18 gennaio 2009

Borghi d'inverno

Il meteo per domenica prometteva un cielo nuvoloso con probabili piogge nel tardo pomeriggio, e forse un timido sole sulle Alpi.
Luca è con amici in cerca di cascate ghiacciate, le amiche impegnate a destra e sinistra, perciò decido di alzarmi con calma e decidere la meta in mattinata, in base al tempo.
Con un convalescente Nicholas scarto subito le zone con ghiaccio e neve, e punto la mia attenzione su qualche casera o borgo a bassa quota.
La scelta cade su casera Pala e Pic di Pala sopra Clauzetto, ma un sms di Luca mi avverte che la zona delle Prealpi è avvolta dalle nuvole e così cerco qualcosa più a nord, sperando in un meteo migliore. Ecco allora Stavoli Cuel Lung sopra Tugliezzo o Borgo Cros sopra Povici scalzare la mia prima scelta: deciderò quando arrivo in zona dove andare a parare oggi.
C'è anche Denis, a corto di idee, che mi messaggia chiedendo lumi su qualche rifugio. Lo invito ad unirsi a me ma è con amici e pronto per partire quando io sono ancora in pigiama!!!
Caricati zaini e scarponi, parto con Nicholas quando da poco sono passate le nove. Il meteo non si è smentito e nuvole grigie alleggiano sopra di noi mentre arriviamo a Gemona.
Denis e amici sono gia sul sentiero che porta al ricovero Monte Forcella, sulle pendici dell'Amariana, ma un rapido sguardo alla cartina e al dislivello mi fa scartare subito l'idea di unirci a loro.
Passiamo Carnia e decido di proseguire verso la Val Resia e Povici di sotto.
Anche la Val Resia è avvolta dalle nuvole e qua e là in alto c'è pure neve!
A Povici sono tutti rintanati in casa e, individuata la partenza del sentiero, scopro con piacere che il versante dove dobbiamo salire è sgombero dalla neve
Pronti! Imbocchiamo la passerella sospesa sul Rio Serai e saliamo per un bel sentiero che con una lunga serie di stretti tornantini ci porta in meno di mezz'ora al piccolo borgo Cros.



Una piccola cappelletta dedicata all'alpino Luigi Monego, ci accoglie per prima sul pianoro innevato e ci fermiamo per una preghierina e un rintocco della piccola campana all'esterno.


Forse richiamato dal suo suono, un vecchietto sbuca fuori dagli alberi e appena nota la nostra presenza, si dilegua velocemente giù per il bosco lasciando dietro a se solo una scia di fumo di sigaretta. Rimango per un attimo interdetta e lo cerco con lo sguardo nel bosco dove è sparito. Un personaggio poco socievole a quanto pare.
Raccomando a Nicholas di stare attento a non scivolare e, ripartiti, raggiungiamo le poche case che compongono il borgo. Dopo un rapido sguardo alle tabelle del Cai, decidiamo di proseguire verso il monte Sflincis e gli Stavoli Stivane di sopra.
Ammetto che con questo tempo lugubre il posto mi ha un po' delusa, ma in estate, con i prati e gli alberi verdi, non dev'essere male.

Il bosco è silenziosissimo e di tanto in tanto ci guardiamo in giro nella speranza di vedere qualche bestiolina, ma niente.
A tratti inizia anche a scendere una leggerissima pioggia ghiacciata che ci riempie di puntini bianchi i capelli, come forfora a detta di Nicholas, ma all'interno del bosco siamo ben riparati.
Raggiunto il punto più alto, presso alcuni muri diroccati, il sentiero inizia a scendere e in breve raggiungiamo gli Stavoli Stivane, una deserta abitazione con serramenti in metallo. Anche questo posto non è granchè con questo tempaccio e decidiamo di ritornare indietro e mangiare i nostri panini su un tronco caduto nel bosco.

Le campane di Resiutta annunciano che è mezzogiorno e dopo il pranzo fugace siamo di nuovo in cammino verso borgo Cros e Povici. Il rumore della pioggerella ghiacciata sulle foglie ci accompagna lungo la discesa sostituiata poco dopo dal rumore delle acque azzurrissime del Rio Serai. Povici ci riaccoglie grigio e silenzioso con i camini fumanti e qualche fiocco di neve.

La prossima domenica ci vedrà di nuovo in zona, a visitare i piccoli borghi di Mogessa di qua e di là, sperando però che il sole faccia la sua parte nell'illuminare questi solitari e pacifici borghi montani.

martedì 13 gennaio 2009

lunedì 12 gennaio 2009

Tutti a scuola!

Sarà l'imminente arrivo dell' Alpinbaby ma quest'anno più degli scorsi mi "balinava" in testa l'idea di prendere l'ARVA per me e Nadia per aggiungere un tassello di sicurezza alla nostra "navigazione" alpina.
D'altro canto, parlando a più riprese con Guido, Gianni e altri, si constatava che l'attività alpina, dopo l'avvento delle moderne cjaspole ha spostato il limite dell'escursionismo a una maggior quota d'azione, e gli avvicinamenti alle cascate o l'alpinismo invernale ti portano a praticare la nostra attività preferita in zone dove il rischio valanghe è più presente.
Quindi per maggior sicurezza, il famoso dado è stato tratto e l'ARVA è finito sotto l'albero di Natale!
Era giunto il momento di imparare bene ad usarlo e di farlo diventare un amico inseparabile.
Parlando con gli amici Orsi poi il discorso si è ampliato, abbiamo iniziato a considerare l'idea di adottarlo per tutta l'attività invernale, non relegandolo solamente all'attività scialpinistica.
E così, per far conoscere bene a tutti gli interessati questo apparecchietto, durante una serata in allegria del gruppo di Rimpinant Ator alla Pace Alpina di Ravascletto si è deciso di programmare una giornata didattica con l'aiuto di Gianni Dorigo, caro amico e novella Guida Alpina.
Domenica mattina ci siamo ritrovati a Tolmezzo con destinazione Casera Val di Collina, che, con i suoi pascoli innevati è diventata per un giorno il nostro "luogo del delitto", in cui mettere a frutto quanto Gianni ci avrebbe svelato sul misterioso apparecchietto.
Siamo un bel gruppettto eterogeneo, scialpinisti, cjaspolatori, escursionisti, alpinisti! La giornata ha avuto una discreta partecipazione, che ha abbracciato le diverse anime della nostra Sezione Cai.

Saliamo lungo la forestale senza fatica sulla neve dura, Nadia resta un poco indietro: la creaturina inizia a toglierle le forze e il passo veloce dell'Alpingirl rallenta un pò, ma non troppo!

Arrivati tutti in casera ci sistemiamo e togliamo dagli zaini l'occorrente alla giornata, pala, sonda e ARVA che subito indossiamo.

Gianni inizia facendo una breve panoramica sulla montagna in veste invernale e sui pericoli in cui si può incorrere frequentandola, dopodichè passiamo a vedere come iniziare la nostra gita, eseguendo un controllo incrociato degli strumenti. Dopo una breve prova pratica passiamo al momento che ognuno in cuor suo spera di non dover mai passare: la ricerca di un sepolto.

Delimitata con i bastoncini l'area di una ipotetica valanga passiamo al metodo di ricerca del sepolto, sia con strumento analogico, che con strumento digitale. Prima Gianni ci dà una dimostrazione con lo strumento in vista, dopodichà iniziamo la ricerca con lo strumento nascosto sotto la neve.







Divisi in tre gruppi, con Sylvain e Luca T (gli Orsi scialpinisti) che danno una mano a Gianni nel seguire l'esercizio, proviamo tutti a cercare il sepolto sia con lo strumento analogico che con quello digitale.





Dopo una pausa per mangiare qualcosa, riprendiamo la lezione provando la ricerca di due sepolti, vedendo il diverso modo di operare con i diversi tipi di strumento.


Verso le tre il sole scende a nascondersi dietro al monte Floriz e ci lascia nel freddo candore dell'alta valle del But.






Dopo cinque ore belle piene riponiamo l'attrezzatura nello zaino e iniziamo a scendere.

La giornata è stata soddisfacente e interessante. Certo, in una giornata, non si può diventare espertissimi, ma il fondamento dell'andar per monti in sicurezza è stato instillato.

In più la soddisfazione di tutti di essere stati i primi allievi di Gianni.


Anche l'Alpingirl è rimasta soddisfatta della giornata: ora, se resterò travolto, so che è in grado di trovarmi, infilzarmi con la sonda e darmi una palata in testa!

Così la prossima volta starò più attento a non farmi metter sotto da una slavina!