Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

mercoledì 27 maggio 2015

Vrh Nad Peski e Batognica (24 maggio)

Lungo il viale alberato che porta a Caporetto incontriamo una piccola colonna di ragazzi in marcia. Zaini carichi, materassino, saccoletto, tenda; il primo della fila avanza con un alpenstock possente.
Sorrido malinconico pensando che giusto cent'anni prima altri giovani baldanzosi ne hanno preceduto i passi. Meno lievi, con il cuore affardellato e la testa piena di pensieri.
Andiamo oltre e davanti a noi fa capolino tra un carosello di sole e nuvole, la cima del Krn: una visione fantastica, una scenografia che esalta. Scendo dall'auto per fare una foto, con il cuore gioioso. Poco dietro arriva l'allegra brigata, e torno per un attimo col pensiero ai ragazzi di un cent'anni fa.


Udine, 24 maggio 1915  
Cara moglie, ormai è giunta l'ora. Alla mezzanotte inizia la guerra. Siamo in stazione a Udine, pronti a salire sui carri verso Cividale e poi Caporetto. Siamo destinati alle montagne. Io che le ho viste solo da lontano, ora devo andare a conquistarle. Stai tranquilla, non temere. Bacia i ragazzi. A presto. Tuo Bruno"

Saliamo la stretta strada che sale al paese di Krn, e proseguiamo verso la Planina Kuhinja, il piccolo parcheggio è piuttosto affollato. Mentre ci prepariamo vedo che le cime davanti a noi sono imbiancate. Il candore della cime contrasta i mille toni di verde dei pascoli. I sole scalda la pelle mentre il silenzio della montagna ci stringe a se. Imbocchiamo la strada che sale alla Planina Leskovka accompagnati solo dal nostro respiro e dal canto dei nostri passi.


Arrivati alla malga abbiamo qualche perplessità sul percorso da seguire. La vegetazione è folta e non si intuisce bene da dove sale il sentiero, ci viene in aiuto il malgaro, che ci indica la direzione. Poco oltre i prati della malga il sentiero torna a essere chiaro. Ci alziamo verso le pareti del Maselnik e con ampi tornanti saliamo verso la Luznika. Il sentiero si inoltra nel vallone e davanti a noi appare la muraglia rossastra del Rdeci Rob. Superiamo i resti di un poderoso trinceramento che sbarrava il labbro del vallone verso l'altopiano del Kamni. Di fronte a noi, oltre Caporetto si staglia, sulla pianura friulana e sul mare, la mole del Matajur.



Monte Nero 22 giugno 1915
Amata Lidia, abbiamo conquistato il Monte Nero, è stato un inferno. Ho ucciso il mio primo nemico. Avevo paura, paura di lui e di morire. E' morto sulla mia baionetta. Quando è caduto dinanzi a me ho pianto. Aveva le mie stesse mani, che stringevano la paura, e gli occhi di chi lascia il mondo troppo presto. Il suo sangue mi ha intriso la divisa, era dappertutto, le mie mani erano rosse, le ho pulite nella neve. Il profumo dei pascoli che sale col vento non cancella l'odore della morte. Spero che Dio possa perdonarmi.  Bacia i ragazzi. Con amore, Bruno.


Risaliamo verso la sella che chiude a nord la Luznica, aprendosi sul largo vallone ghiaioso di Po Luznici. La selletta è presidiata da un plotone di pecorelle, sparse nella nebbia. Alle nostre spalle la vista dilaga sulla pianura, fino al mare. Davanti a noi, tra le nebbie, s'indovina la mole del Vrh Nad Peski.






Scendiamo nel vallone, mentre le nuvole corrono veloci verso l'alto, aprendoci squarci di paesaggio lunare, silenzioso e grigio. Saliamo verso la forcella dello Skofic, presidiata da un cuspide rocciosa che pare un cavallo imbizzarrito. Giunti in sella lo sguardo si posa sulla lunga dorsale del Tolmiski Kuk, studiandone le creste spoglie e i sentieri che ne segnano i fianchi. Aggiriamo il versante orientale del Mali Peski, giungendo al cippo monumentale della Piramide Na Peskih, che ricorda i caduti del quindicesimo corpo d'armata Imperiale. Nadia segue il filo di cresta, curiosando tra i resti delle fortificazioni e dei baraccamenti.
Spoglie tracce di vite consumate dalla guerra.










Monte Nero, 7 settembre 1917
Carissima Lidia, il tempo passa veloce, sono due anni che cerchiamo di sopravvivere a tutto questo dolore. Da quassù si vede il mare, nella mia povera vita non l'avevo mai visto, e ora lo vedo da quassù, di nascosto, per non essere bersaglio dei cecchini. Quando tutto questo dolore finirà ci andremo assieme a vederlo, inforcheremo le biciclette e attraverseremo la pianura. Sogni. Sono quelli che mi fanno restare vivo, sogno di voi ogni sera. Si fa sera, e scende la nebbia, spero che i crucchi non attacchino. Noi qui tutti bene dopotutto. Spero altrettanti di te e dei ragazzi. Bruno.

Nadia mi raggiunge sull'ampia sella tra Mali Peski e Vrh Nad Peski, la luce fredda rende surreale questa giornata di maggio. Calpestiamo le neve fresca sul sentiero che sale in cima, dinanzi a noi la mole tronca della Batognica, il Monte Rosso. Rosso del sangue di centinaia di vite spezzate, Rosso del sangue che ne ha intriso il calcare fin nelle sue viscere, per i crudeli giochi della guerra di mina.
Raggiungiamo la cima imperlata di galaverna, dalle nuvole emerge il profilo del Krn, maestoso a nord. Il libro di vetta trova casa nella miniatura dell' Aljaz Stolp. Ci fermiamo per mangiare qualcosa di veloce, spersi in queste lande lunari, con le nuvole che cambiano di continuo il panorama.







Ritorniamo sui nostri passi, la neve è infida e scivolosa e richiede attenzione, seppur il sentiero non sia difficile. Raggiungiamo il Prag e iniziamo a risalire il fianco della Batognica. In breve ne raggiungiamo lo sconvolgente pianoro sommitale, devastato dalle esplosioni delle mine austroungariche. Anche qui la pazzia dell'uomo ha lasciato il segno. Indelebile. Un silenzio irreale ci accompagna mentre attraversiamo il pianoro fino a raggiungerne la maggior elevazione.







Monte Nero, 25 settembre 1917
Lidia sono ormai alle porte dell'inferno. Ieri un tremito ha scosso la montagna, poi solo fuoco, fiamme, rocce e brandelli di corpi. Gli austriaci hanno fatto saltare la mina. Erano diversi giorni che si sentiva quel rumore sordo, provenire dal ventre della montagna. Gli ufficiali parlavano tra loro, cercando di non farci intendere. Dicevano che ci hanno rubato quattro tonnellate di nitroglicerina dalle nostre mine. O cara, so che non puoi comprendere queste parole che neppure io conosco, ma credimi, ho visto l'inferno. Pregate per me tu e i ragazzi. Pregate per me. Pregate.


Scendiamo lungo il costone occidentale, percorrendo la famosa scala, scolpita nella roccia, fino a raggiungere la sella che divide il Monte Rosso, dal Monte Nero. Ci lasciamo alle spalle la neve primaverile che colora candidamente queste cime dal passato triste: davanti a noi la lunga strada che con infiniti tornanti, attraversando il Lavador del Krn, ci riporta al parcheggio. Cento anni fa iniziava la follia degli ideali che portò al macello milioni di vite. Cento anni dopo, nascosto in un cassetto immaginario, il diario di Bruno ci racconta una piccola storia di speranza.


Codroipo, 6 gennaio 1919
Affido a te, Maria Madre di Dio,  le mie preghiere per chi non c'è più di tutti quei ragazzi che, come me, hanno visto il mondo nella maniera più sbagliata, marciando con le armi in pugno contro dei fratelli, costretti come noi alla guerra. Ti ringrazio per avermi protetto in questi anni e per aver fatto lo stesso con la mia famiglia. Spero che i miei nipoti e i loro figli potranno ripercorrere i miei passi per amore e non per odio.

2 commenti:

montagnesottosopra.blogspot.com ha detto...

bel modo di commemorare i cento anni dall'inizio della guerra..... ripercorrere i sentieri dell'odio, ma stavolta con amore . Bravi

Anonimo ha detto...

Mi associo senz’altro alle parole di Luca De Ronch…un modo splendido per ricordare.

Incredibile come anche le nubi contribuiscano ad avvolgere con un velo di mestizia la sovrana bellezza di questi luoghi, simboli austeri che già da soli raccontano a chi sa ascoltare, rivelando lontane e dolorose dimensioni interiori.

Mi avete fatto commuovere...
Un saluto, lauretta