Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

giovedì 4 marzo 2021

Sentiero dell'acquedotto, salendo a Cima Valfredda

“I sentieri sono narrazioni su esseri umani che andavano a piedi. 
Hanno un inizio, un centro e una fine. Puntano in avanti, verso la meta, ma anche all’indietro, verso tutti coloro che li hanno percorsi prima di noi, fino alla persona che vi ha lasciato la prima orma." 
(Torbjørn Ekelund, autore del libro Storia del sentiero)

Il gorgoglio dell'acqua che scorre sotto i nostri piedi, ci dice che siamo sul sentiero giusto.


Partiti da sopra Selva di Giais, ci mettiamo un po' a capire quale, tra le tante tracce sul ghiaione, sia quella giusta da seguire. Una a destra, l'altro a sinistra, risaliamo alla ricerca del prossimo ometto o della briglia da attraversare indicata dal sito Dolomitidxtagliamento, da cui ho preso spunto per l'uscita odierna. Ci ritroviamo entrambi più in alto, tra gli arbusti di un boschetto presso una briglia, dove una flebile traccia sembra scendere e attraversare la condotta cementata che ho costeggiato fino a qui. Ne cerchiamo il proseguo, risalendo un piccolo dosso sabbioso ed eccolo là, l'ometto che indica il sentiero! 


Da qui in poi, difficile sbagliarsi, tanto è evidente all'interno del bosco che risaliamo. E poi quel gorgoglio, nascosto da rocce tra l'erba, che ci racconta del grande lavoro di un pastore, Cesco Giovanni di Giais che, nella seconda metà dell'800, di sua iniziativa costruì un acquedotto artigianale, convogliando le acque che sgorgano dal Clap de Pissol fino giù al paesino di Selva, donando alla comunità locale un bene prezioso! (Nota storica presa dal sito
Dolomitidxtagliamento)



Come la vita scorre nelle vene, l'acqua fluisce dentro il terreno, a volte silenziosa e nascosta, a volte "gorgogliante" e in vista: ci fermiamo ad ammirare questi brevi tratti aperti, immaginando il lento e faticoso lavoro di Giovanni Cesco. 



Guardiamo in su, verso Cima Valfredda, la nostra meta odierna: fa caldo, tanto caldo, troppo caldo per essere fine febbraio! E io ho sbagliato pantaloni! Sudando e sbuffando, seguo Luca su per il sentiero, a volte tra gli alberi, a volte su prati aperti. 



Un ponte sospeso ci regala un brivido d'emozione, prima del successivo entusiasmante tratto in cengia. 





Di tanto in tanto un filo d'aria ci regala un attimo di refrigerio: la Bora prevista per oggi, viaggia molto più in alto, a giudicare dalle particolari nuvole che oggi disegnano il cielo! 





Questo percorso ci lascia senza parole: le cenge si susseguono, a volte scavate nella roccia, a volte erbose e sorrette da alti muretti a secco, il silenzio che ci avvolge rotto solo dallo scorrere dell'acqua dentro la canaletta, per alcuni brevi tratti a vista e parallela alla cengia. 











Una incassata ansa del sentiero, ci porta in vista dell'ampio ghiaione denominato Li Gravis, dove il rumore dell'acqua si fa più forte. E' qui che Giovanni Cesco scoprì la sorgente d'acqua, chiamata ora Clap de Pissol, dove una struttura in cemento ne cela l'uscita. 






Una botola chiusa da una lamiera però ci consente un piccolo sguardo a quello che si nasconde all'interno della parete rocciosa, dove l'acqua scorre giù veloce, dentro canalette scavate dalla sua incessante forza.  


Ci concediamo una pausa, per decidere come proseguire, valutando le due opzioni: continuare lungo il ghiaione o ritornare brevemente sui propri passi, per prendere una variante di salita più diretta alla Cima Valfredda. Optiamo per quest'ultima, tornando indietro e seguendo una traccia inerbita che ci porta in alto, sulle ripide pale erbose che scendono dalla Cima Valfredda. 







Ogni dosso che risaliamo sembra essere la nostra meta finale, ogni dosso che risaliamo ne nasconderà uno successivo! 




Rido ricordandomi le varie vignette ironiche sull'argomento, mentre arranco sull'erba ripida e scivolosa. 


E poi eccola là la cima, oltre una valletta innevata, dopo l'ennesima risalita. Tutto è bianco qui, il silenzio e il senso d'isolamento, incredibile! 







Ci guardiamo attorno, nessuno in vista, solo un piccolo branco di camosci che scappa sotto la cima. 



Raggiungiamo casera Giais e, dopo una bella pausa pranzo, scendiamo verso Baita Polo. 










La pianura, avvolta nella foschia, si stende davanti a noi, in un ampio respiro, come solo le Prealpi possono offrire.  


Da lì, con il Troi I Vuolth, chiudiamo ad anello questo giro che tanto mi aveva incuriosita e che oggi ci ha regalato un bellissimo viaggio a picco sulla pianura.



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