Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

venerdì 22 gennaio 2016

Hypercoldai

Saliamo nuovamente ai piedi di quella montagna che Antonio Stoppani descrisse come una grande città turrita e merlata, e che il grande Emilio Comici sosteneva si chiamasse Civetta "parche la incanta". 
Mi piace pensare a lui mentre pronuncia queste parole seduto alla finestra del rifugio Tissi, magari sorseggiando un bicchiere di rosso, mentre studiava le rughe severe della parete nord ovest.

Saliti al Pian di Pezze ci lasciamo alle spalle le piste da sci e cerchiamo di addentrarci tra le rughe dell'incantatrice, alla ricerca dei cristalli che ci ammaliano, come mute sirene, addormentate in un sonno gelido.
Il vento spazza le piste sotto di noi e innalza bianchi pennacchi sopra le nostre teste, ci costringe a stringere gli occhi per vedere dove andiamo e poi, d'improvviso cala il silenzio. Il respiro non è più affannoso, il vento scompare lontano e resta solo il canto diamantino delle sirene.




Ci prepariamo all'ombra della parete, le mani intirizzite cercano riparo nei guanti, mentre il metallo dei chiodi tintinna inespressivo, distaccato. Una luce azzurra ci circonda e ci accompagna all'attacco della via.





Il ghiaccio esplode sotto i denti affilati delle picche, mentre i chiodi sono malsicuri mentre mordono la crosta gelida. Il vento fa ancora capolino e viene a ricoprirci di neve, rubandola dalle pareti e soffiandocela in viso.






Come ogni bel gioco anche questo finisce e una volta arrivati in alto, non rimane che scendere.


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