Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

martedì 19 luglio 2011

Zebrù ('n c'è ppiù!)

"Ma fino a Brescia te vien lunga una vita! Te vai a Trento e tagli dentro, sei a Santa Caterina in un momento!
Seguendo i consigli di "chi sa" prendiamo l'Autobrennero con meta Mezzocorona, per poi "tagliare dentro" e arrivare in un momento in Valfurva. Nel mezzo il Tonale e il Gavia, quest'ultimo conosciuto solo attraverso la Corsa Rosa. Ci conosciamo di persona sotto una densa nebbia piovigginosa e alla guida di un Ducato nove posti... Quanti rosari su quei tornanti tra ciclisti infreddoliti, motociclisti nervosi e automobilisti imbranati!
Comunque sia riusciamo a raggiungere S. Antonio in Valfurva e salire a Niblogo, all'ingresso della Val Zebrù.
Qui, sotto un cielo pesante i due tassinari ci aspettano al varco: salite al V°?
La Val Zebrù sarà pure bella, ma preferiamo le navette che ci portano fino alla Baita del Pastore. Il tassinaro ci parla molto del più e molto del meno durante gli undici chilometri di salita "Vedi quelle tre baite? Sono mie.. trentacinque anni fa avevo le mucche.. facevo il pastore.. poi le ho vendute e ho preso la land rover.. rende di più delle mucche!"  Già! Specie se non fa fattura!






Finalmente arriviamo alle baite e iniziamo a salire verso il rifugio. La forestale è comoda e mai ripida e in poco più di un ora raggiungiamo la meta.
Ci sistemiamo per bene nel locale dormitorio e ci concediamo una birra in compagnia. Presto arriva l'ora di cena e il buonumore pervade la compagnia, anche se il cielo resta scuro sopra il rifugio; si decidono le cordate, si spera nel bel tempo, e pian piano andiamo tutti ad abbracciare il cuscino.


Colazione alle cinque del mattino, ci fan compagnia una guida e i due suoi  clienti. il cielo è scuro e le nuvole basse. I preparativi si svolgono veloci e in breve siamo sul sentiero che porta al ghiacciaio.

Calziamo i ramponi e ci leghiamo: Attraversiamo la prima lingua di ghiaccio, poi, superata la morena riguadagnamo la Vedretta del Zebrù.

Il ghiacciaio sale costante e superiamo qualche bel crepaccio, mentre le nebbie scendono ad accarezzare la coltre fredda della montagna, avvolgendoci completamente in un grigio e freddo abbraccio.




Qualche rara e rapida schiarita ci consente di capire dove siamo, ma velocemente le nebbie ci avvolgono  nuovamente.
Raggiungiamo la quota del bivacco Città di Carpi, ma di lui non c'è traccia. Sparito alla vista come il Zebrù. Persi nelle nebbie lo cerchiamo come meta della giornata, ma dopo qualche minuto, il freddo è il vento ci invitano a ridiscendere verso il rifugio. Non sempre si vince in montagna.


Nello sguardo di qualcuno intravedo una comprensibile insoddisfazione, ma con queste condizioni non valeva la pena rischiare.
Sistemiamo il materiale nello zaino al rifugio, mentre qualche goccia di pioggia inizia a scendere, mettendoci un pò di fretta. Salutiano Emanuele ed Elena e scendiamo veloci verso i nostri traghettatori.
Un ultimo sguardo indietro: il Zebrù non c'è più. Solo nuvole grigie.

3 commenti:

Piero ha detto...

in effetti non era tempo di salite
ma man

Roberta Mi ha detto...

coraggiosi avventurieri dell'alpe!

frivoloamilano ha detto...

..peccato, mi sarebbe piaciuto godermi questa salita. Ci sarà un'altra occasione, di sicuro.

un saluto