Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

mercoledì 3 settembre 2014

Panettone del Pal Piccolo,

Giovedì mattina entra poca luce dalle finestre: un occhio ancora mezzo addormentato scruta oltre la tenda un cielo di nuvole grigie e compatte. Ormai non è una novità. 
Un sospiro lungo un'estate. La tentazione di tornare a letto balena in testa, poi, come un lontano raggio di sole, ha la meglio il pensiero di una giornata fuori porta: "se non arrampicheremo andremo a fare una camminata".
Lo stesso pensiero ha convinto anche Carlo a uscire di casa, "Ma hai visto che roba? Ma non avevano messo sole su tutta la regione? Comunque sia ho caricato tutto in macchina".
Qualcosa faremo penso, mentre l'orizzonte montana si tinge di un lieve azzurro. 
Scorre l'asfalto sotto le ruote e l'azzurro sale d'intensità, mentre le pareti di calcare sono lontane sirene: sale il loro richiamo e la mani già assaporano il ruvido contatto.

Sale erto anche il sentiero che ci porta al loro cospetto.
Sale il tintinnio dei moschettoni e dei friend, assieme a dadi e rinvii una leggera sinfonia.
Il respiro rotto si ricompone sotto la bellezza della parete. Come un'amante che sa stupire ogni volta che la si guarda, appare sempre giovane, come la prima volta che si sale al suo cospetto.
Mentre grigio e azzurro si incontrano verso l'alto per il nostro piacere ci prepariamo a salire.


Il respiro è libero di volare e segue il ritmo delle mani e dei piedi, il fluire delle corda.
Giochiamo.
Iniziamo la Via delle Placche e poi giriamo il timone di direzione di Wall of Glass, l'oceano di calcare è quieto e leggermente increspato da fessure e sbavature su cui le mani scorrono leggere fino al sicuro approdo in sosta.




Il cielo si copre nuovamente come a ricordarci che siamo tutti di passaggio. 
Ammainiamo le vele a ripariamo nel bosco, verso casa.

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