Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

martedì 8 ottobre 2019

Sentiero Olivato

Una chimera! Questa potrebbe essere la parola che descrive questo percorso, che, come una lusinga, di tanto in tanto si riproponeva lungo la mia vita alpinistica. Ne sentii parlare la prima volta da Mariano, avrò avuto sedici anni, che me lo indicava dalla cima della Cridola: appariva a tratti, come un miraggio, emergendo dalle nebbie che salivano dalla Val Cridola. Mi raccontava di cenge a precipizio sul vuoto, di passaggi "da camoscio", e di ghiaie infide che con spensieratezza si lasciavano cadere verso il fondovalle, rendendo il passaggio difficile ed effimero.
Ricordo che la vista si chiuse con uno sbuffo grigio che risucchiò la cima, e noi scendemmo lungo cineree traccie. Giunti a forcella Scodovacca il castello incantato della Cridola era avvolto da nebbie fumanti.
Quest'aura oscura si mantenne negli anni. Parlandone c'era sempre questo sentore di precarietà, di una instabilità fisica che poi ne portò anche all'inagibilità ed alla chiusura. E all'oblio.



Il Passo della Mauria è un altro luogo distante. Distante dai pensieri, un punto di passaggio che offre un attimo di sospensione, per poi ripartire verso luoghi più vivi. Penso che non sia un caso che si trovi vicino ai Brentoni. Solitudini simili. 
La strada militare che sale al ricovero Miaron è ornata da un'aria frizzante che punzecchia le gote, mentre gli occhi guardano ai colori dell'autunno che si fanno più decisi.
Una volta arrivati al vecchio caposaldo, il panorama che si intuiva al di la degli alberi si fa vivo ed imponente: Dai Brentoni al Civetta, con le Marmarole dirimpetto a noi, e con le Tre Cime e la Croda dei Toni a far da comari.








Lasciamo il vecchio forte e iniziamo a seguire il sentiero che, dopo aver tralasciato la traccia di salita al Miaron, ci apre le porte del sentiero Olivato. Dopo un primo passaggio su aeree ghiaie approdiamo nuovamente ai placidi mughi. Il sentiero corre lungamente, una leggera ascesa che ci porta ad un primo strappo roccioso, per poi continuare ancora in falsopiano fino ad arrivare alla targa in legno che ci ricorda i passi che ci accingiamo a percorrere.













Si schiude davanti a noi un mondo fatto di cenge, antri, anse e ghiaie. Si alternano tratti dove lo sguardo è libero di spaziare curioso, indugiando lungo le rughe del Montanel o sui torrioni che sovrastano il nostro cammino; in altri invece si scruta preoccupati il proseguio del cammino che sembra sparire nel nulla. Cenge che muoiono e nascono da ripide ghiaie, o fagocitate da una svolta improvvisa che apre scenografie di pinnacoli e pareti strapiombanti.













La selvaggia bellezza dei precipizi d'improvviso si trasforma nell'avvenente eleganza dei larici che fanno da corona all'alta Val Cridola. Ora il cammino si fa erto, fino a salire all'anfiteatro dove è posto il bivacco Vaccari. Il ritmo blando delle cenge si spezza, e un lungo e profondo respiro accompagna gli ultimi passi fino all'oasi del bivacco. Un balcone verde che resiste all'abbraccio delle ghiaie che scendono dalla Cridola e da Punta Cozzi.





La scenografia di questo anfiteatro dolomitico è di una magnificenza che è pari alla solitudine del luogo: scorre sulla pelle la lontananza da tutto, un brivido freddo di piacevole abbandono in una natura selvaggia, sotto un cielo blu dove vagano veloci le nuvole.
Una breve pausa seduti all'interno del bivacco, scorrendo le firme sul libro, cercando qualche nome amico che abbia potuto assaporare la bellezza di questo luogo. Il tempo scorre lieve e ci rimettiamo in cammino alla volta della Forca del Cridola, dove un singolare torrione, veglia sui viandanti.





Ci sediamo sottovento ad ammirare la valle del Tagliamento, sotto di noi, Forni di Sopra sonnecchia nelle prime ore del pomeriggio.
Riprendiamo il cammino in direzione dei torrioni di Forcella Fossiana, con lo sguardo che sbircia verso il Bivera ed il Clap Savon. Con la giusta attenzione scendiamo i gioiosi marciumi del canalone, fino a guadagnare di nuovo il sentiero che ci accompagna nella discesa  lungo il Val de La Tora.







Raggiunto il limitare della vegetazione, ancora qualche passo agevolato da vecchie corde fisse. Poi il sentiero si fa largo tra i mughi. Sotto di noi la strada che sale al passo, con i suoi strepiti ci ricorda che la solitudine a breve sarà un ricordo.
L'ultimo silenzio ce lo regala il bosco fitto, poi, in un alito di vento, andiamo a chiudere il nostro anello.



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