Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

martedì 4 agosto 2020

Ago di Villaco, spigolo sud

Dell'ultima volta che salii su quella che, per me, è la guglia più bella delle Alpi Giulie ricordo il freddo, un grande momento di gioia e uno di piacere. 
Era l'alba del 6 gennaio del 2000 e la temperatura era di molto sotto lo zero. Uscii dal bivacco invernale del Corsi avvolto in una coperta, con la tazza del te in mano, facendo attenzione a non scivolare sul ghiaccio. Mi pareva che il freddo mi rallentasse il pensiero.
Rientrai posando la tazza vuota vicino al fornelletto e mi rintanai nel sacco a pelo: dagli altri sacchi delle voci confuse chiesero qualcosa che non capii. Risposi che il sole sarebbe arrivato tardi ed era meglio aspettare per muoverci: un silenzioso assenso si diffuse come il profumo del tè. Il freddo era pungente e mi rintanai ancor di più nel caldo abbraccio del sacco.
Questo era un grande momento di gioia.
Un paio d'ore più tardi il tè nel pentolino era freddo e con una piccola crosticina gelata: mentre riprendeva vigore il bollore, sbucammo fuori dal bivacco e l'Ago era splendido: nella luce fredda di metà mattina, che donava una solenne maestosità alle sue rocce ammantate d'ermellino, aveva un aspetto magico.
Dopo aver fatto colazione, sistemammo le nostre cose e risalimmo all'attacco della Klug Stagl. 
Le scarpette rimasero negli zaini alla base, in una truna scavata nel pendio di neve che inghiottiva il sentiero estivo. 
Salimmo con gli scafi ai piedi. La fessura fu meno faticosa del solito, intasata di neve, si fece salire rapidamente dalle punte dei ramponi, le picche non erano ancora pensate per il misto moderno ed erano d'impaccio anche per scavare gli appigli per le mani guantate. Uscimmo sulla cengia coperta di neve: da li in poi la roccia era abbastanza pulita ed arrivammo velocemente in cima. 
Ricordo che sembrava un piccolo Cerro Torre.
E questo era un grande momento di piacere.
L'esile cima incrostata di neve e ghiaccio era qualcosa di incantato: racchiudeva sogni e speranze, propri di giorni grandi ai nostri occhi di allora. La mente viaggiava verso progetti lontani e, nonostante il freddo, ci passammo quasi un paio d'ore, tra foto e vin brulè che ribolliva senza fine sul fornelletto .




Dopo tanti anni torno in questo luogo maestoso nuovamente per arrampicare.
Torno su quella piccola cima con gli amici Orsi, con il sole e con il caldo e senza fretta.
Il piacere è lo stesso, condito da qualche risata in più. 
La piccola cima regala sempre sensazioni intense: uscire dalla sua verticalità e cercare l'equilibrio nello spazio esiguo della sommità non è mai immediato, ma richiede un respiro ampio e profondo quanto il meraviglioso anfiteatro che fa da sfondo al culmine della salita.
Un respiro che ti fonde l'animo con quanto ti circonda, che ti porta ad essere parte della bellezza che ami.






Mentre scendiamo verso malga Grant Agar le Giulie s'infiammano al tramonto, ed il silenzio che ci circonda viene spezzato dai campanacci delle mucche che rientrano dal pascolo, seguendo il richiamo del giovane malgaro.
Per un attimo il tempo si ferma: gesti tramandati nei secoli si ripetono nella tranquillità della sera, mentre le emozioni di vent'anni prima si mescolano a quelle appena vissute, riprendendo vigore e gonfiando nuovamente il cuore attorno ad una tavola condivisa.


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