Nessuna preghiera, nessun credo, rendono l'uomo più devoto quanto la solitudine d'un bosco che stormisce al vento, o la libera vicinanza al cielo sulle vette dei monti
Julius Kugy

venerdì 20 novembre 2015

La parete che non c'é

Arrivati in paese, nel grigio e freddo mattino di una domenica di mezzo autunno, le campane battono un rintocco. Uno.
Il segnale?
Da una casa di pietra esce l'Accademico che qui ci ha voluti. Le sue parole si mescolano a quelle del vento e ci giunge solo un "seguitemi!".
Seguiamo la sua auto tra le strette stradine del piccolo paese fino a quando, talmente piccole, si fanno sentieri che si perdono nel fitto del bosco. Per qualche strana magia dell'Accademico il bosco si apre e si chiude al nostro passaggio, offuscandone il ricordo in un vortice di foglie secche.
Cosi arriviamo alla sommità parete, scendendo lungo tracce occulte, attraverso un bosco ammantato dalle magie dell'autunno.
Fino al precipizio.
Scendiamo lungo le corde, i rari appigli della parete si susseguono davanti ai nostri occhi mentre cerchiamo di leggerne la chiave di salita. Le più minute grinze, le minime asperità che ci offrirà per poter tornare lassù, dove le strade conosciute si perdono nei pensieri del bosco, e la montagna veglia sulle umane vicende.











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